Description
“Una strana morte a Oppido Lucano” è un romanzo storico. Le imponenti forze inviate nel Mezzogiorno, unitamente all’assenza di una classe politica che sapesse coordinare la spontanea reazione popolare, nel 1861 determinarono l’annullamento del regno “Due Sicilie” e la nascita del “regno d’Italia” ma anche la sparizione di tante storie. Ognuno dovrebbe conoscerle e ricordarle specie in quel contesto storico in cui si narrano intrighi, delitti e sospetti che s’insinuano nel corso apparentemente normale e prevedibile della vita, ma che conducono l’uomo a esplorare realtà insolite e a conoscere, inaspettatamente, l’amore. Oppido Lucano ne è un esempio.
Testo parziale
Un omicidio o un semplice accidente? Un dubbio che arrovellò la mente e a ben poco servirono le sue conoscenze di medicina, almeno in apparenza. Giulio Ferraris, sottotenente medico dell’esercito piemontese, in missione in Lucania con altri scopi rispetto alla sua professione, era al cospetto di un morto, adagiato nel letto con i vestiti “buoni”, quelli usati durante le tante cerimonie che si tenevano a palazzo. All’apparenza sembrava trattarsi di una morte relativamente dolce ma quella smorfia di dolore sul viso non faceva presagire nulla di buono. Nei giorni precedenti il marchese Giacomo Gaetano Antonio Tucciariello de Olivelli aveva accusato forte tachicardia, disturbi gastrici e del sistema nervoso centrale, nausea e vomito, eccesso di salivazione, dolore addominale e diarrea. E Giulio non riusciva a venirne a capo, provò con tutti i medicamenti possibili di cui disponeva, utilizzando anche piante officinali, ma niente, ogni giorno il quadro clinico peggiorava sempre più. Cercava di contenere i malesseri non riuscendo a trovarne la causa. Per i disturbi gastrici provò a sopprimere le cause produttrici dello stato morboso, regolando la dieta: proibì i farinacei e le sostanze zuccherine. Il marchese soffriva all’inizio del suo malessere anche di stipsi, allora Giulio fece sì che assumesse anche un infuso di centocinquanta grammi di calamo aromatico. Purtroppo in breve la stitichezza si trasformò in diarrea, allora stravolse il tutto utilizzando ciò che la natura gli offriva e cioè cibi astringenti per rendere più consistenti le feci, proprietà conferita principalmente dalla presenza di tannini e polifenoli: consumo di carote cotte a vapore o bollite pochi minuti in acqua, la sua proprietà è data dalla pectina, di spremute di limone diluite in acqua e come condimento delle pietanze, che sono anche un buon idratante (il limone contiene, infatti, molti minerali) e svolgono un’importante azione antibatterica. Faceva portare dalla cucina mele crude, anch’esse ricche di pectina e dotate di grandi capacità di “nutrire” i batteri buoni dell’intestino, le patate cotte a vapore o lesse le quali oltre a ricompattare le feci remineralizzano l’organismo e offrono un’azione lenitiva sullo stomaco, riducendo anche l’acidità gastrica. In poche parole le provò tutte affidandosi soprattutto alla farmacopea vegetale, ma con scarsissimi risultati. Pensò anche a un cancro dello stomaco ma la sintomatologia e l’esame fisiologico non confortarono la sua ardita tesi. Da un lato, dunque, riusciva a contenere i disturbi gastrici, ma dall’altro ben poco riusciva a fare con la forte tachicardia consistente nell’aumento del numero dei battiti del cuore al minuto in condizioni di riposo. In tale stato questo organo, formato da tessuto muscolare striato involontario ma che a differenza degli altri muscoli del corpo umano è capace di generare da solo lo stimolo nervoso che ne assicura il movimento, non era in grado di pompare in maniera efficace il sangue in tutto il corpo e, conseguentemente, gli organi e i tessuti dell’organismo non ricevevano più il necessario quantitativo di ossigeno. Di conseguenza il soggetto presentava la comparsa di disturbi come: respiro corto, senso di svenimento, palpitazioni, battito cardiaco irregolare, una sensazione di fastidio al petto, dolore e sincope. Insomma il quadro clinico era disperato e Giulio ancor più disperato perché non sapeva affatto cos’altro fare e a nulla servirono tutte le sue conoscenze.