Description
La difficoltà di vivere in un contesto fondato sulla prestazione e la necessità da parte dell’uomo di far fronte alle pressanti richieste delle mutate esigenze della società nel terzo millennio lo pone in una situazione non sempre favorevole. La fragilità dell’essere non è contemplata e rappresenta un elemento negativo dal comune sentire. Le vite diventano incerte, sono relegate in un angolo perché non rispondenti ai canoni di una società in continuo divenire, che richiede un adeguamento costante a parametri mutevoli dettati da contingenze considerate “assolute”, che emarginano chi non riesce a “tenere il passo comandato” da ingranaggi immateriali che spingono l’uomo, non in grado di assimilarli, verso l’alienazione che sfocia nella difficoltà di essere se stesso. Nella fattispecie si analizzano alcuni “aspetti” come la devianza, il disagio, la depressione, la tossicodipendenza, eccetera. Non c’è correlazione tra essi, o meglio: non sempre esiste un legame perché una può essere anche la conseguenza dell’altra, ma non per forza in quanto sono come tante linee parallele che possono sì incontrarsi in un infinito finito, in una logica paradossale, ma costituiscono “circostanze” vissute per fattori non sempre coincidenti.
Testo parziale
Nelle condizioni attuali l’uomo non è più al centro dell’universo come intendeva l’età umanistica (individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, natura, etica, politica, religione, storia), dovranno essere riconsiderati i precedenti parametri in funzione della società attuale, definibile tecnica, il luogo della razionalità assoluta, in cui non c’è spazio per le passioni o le pulsioni, che è quindi il luogo specifico in cui la funzionalità e l’organizzazione guidano l’azione. Il punto cruciale sta nel fatto che tutto ciò che finora ci ha “indirizzato” nella storia, come sensazioni, percezioni, sentimenti, risulta inadeguato nel nuovo scenario.
Si assiste all’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità dell’organizzazione tecnica, priva di qualunque senso riconoscibile. Non abbiamo i mezzi intellettuali per comprendere la nostra posizione in un sistema ordinato e armonico, per questo motivo ci adattiamo sempre di più all’apparato e ci adagiamo sulle comodità che la tecnica offre. Ciò che occorre è un ampliamento psichico capace di compensare la nostra attuale inadeguatezza. L’attuale contesto in cui si vive è una società al servizio della tecnica e non si hanno i mezzi per contrastarla, soprattutto perché si “possiede” la stessa etica di un secolo fa: cioè un’etica che regola il comportamento dell’uomo tra gli uomini. È necessaria una nuova “regola” che tenga conto anche del “tutto” ciò che è natura. L’uomo, soprattutto in occidente, dipende completamente dall’apparato tecnico e questa dipendenza non sembra potersi spezzare. Tutto rientra nel nuovo sistema, qualsiasi azione o gesto quotidiano che l’uomo compie ha bisogno del sostegno di questo apparato. Ormai si vive nel paradosso, infatti se l’uomo vuole salvare se stesso e il pianeta lo può fare solo con l’aiuto della tecnica. Ciò che si presenta è un circolo vizioso e uscirne sembra improbabile, in considerazione soprattutto dell’orientamento delle società occidentali. È necessario e imprescindibile sviluppare un nuovo pensiero dell’azione che serva quantomeno a evitare di essere dominati dalla tecnica.
Oggi la essa non è più uno strumento nelle mani dell’uomo, come ostinatamente si continua a credere, ma è diventata il vero soggetto della storia, e come tale esprime non più il potere dell’uomo sulla natura, ma il suo potere sull’uomo e sulla natura. Si è giunti alle estreme conseguenze di quell’intuizione che Bacone aveva avuto alle origini della scienza moderna e che aveva espresso nella formula «scientia est potentia».
Finita l’epoca nella quale, per insufficienza tecnica, la natura era pensata come l’immutabile, finita l’epoca nella quale l’uomo poteva concepire la tecnica come mezzo per agevolare il suo dominio sulla natura, oggi siamo nell’epoca in cui la tecnica guarda sia l’uomo sia la natura come semplice materia su cui compiere la sua sperimentazione. Il problema non è se la tecnica debba essere incoraggiata o arrestata nel suo sviluppo, ma se la politica è in grado di ripensare se stessa e considerare se la sua legittimazione le derivi dall’esercizio della potenza, come sembra accadere attualmente, o dalla difesa della condizione umana. Se la politica saprà assumere “posizioni” adeguate, rimettendo al centro delle sue attenzioni l’uomo, allora anche lo sviluppo imprevedibile della tecnica cesserà di mostrarsi minacciosa. È lapalissiano che occorrono interventi urgenti nella società, puntando sul “riscatto” dell’uomo perché abbandoni ogni atteggiamento genericamente rinunciatario e negativo nei confronti del mondo con le sue istituzioni, i suoi valori e il sentimento di generale disperazione derivata dalla convinzione che l’esistenza non abbia alcuno scopo. Urge ritrovare, con necessari accorgimenti contestualizzati, un nuovo umanesimo. Insomma, l’uomo deve essere riconsiderato come essenza vitale di un processo di rinascita che guardi alle sue necessità, ai suoi bisogni: soggetto centrale e destinatario di “attenzioni” che proprio le istituzioni e la politica disattendono costantemente.